Era domenica. Alle 5 del mattino sei pullman con operai, braccianti e studenti partirono da Piazza Porta Grande a Mesagne alla volta della manifestazione che si sarebbe tenuta di lì a poche ore a Reggio Calabria. La Camera del Lavoro aveva organizzato tutto con cura raccomandando i partecipanti di non cadere in nessuna provocazione. Due anni prima, anche su spinta delle lotte dei lavoratori in seguito all’autunno caldo, si era deciso di istituire ufficialmente le Regioni e, in alcuni casi, le scelte relative ai capoluoghi avevano creato situazioni di tensione.
In Calabria, ad esempio, venne stabilito che gli Uffici del nuovo Ente dovessero essere a Catanzaro e a Reggio tala decisione fu considerata al pari di un insulto. In conseguenza di ciò vi furono sommosse popolari che provocarono anche due morti a seguito degli scontri tra i dimostranti. Fatti simili avvennero anche a L’Aquila, in risposta alla scelta di Pescara come capoluogo abruzzese. La Federazione di Pescara del PCI fu presa d’assalto e il clima in entrambe le città divenne così rovente che dietro le sommosse popolari si inserirono abilmente i provocatori e gli squadristi del Movimento sociale Italiano.
Alle successive elezioni politiche (7 maggio 1972) in tutto il Mezzogiorno vi fu una avanzata significativa delle liste del MSI. A Reggio Calabria l’Onorevole Ciccio Franco, già dirigente sindacale della vecchia Cisnal e deputato dell’MSI, si mise alla testa della rivolta con il famoso slogan “boia a chi molla”. La città fu devastata da incendi, blocchi stradali, assalti alle sedi dei partiti e dei sindacati. Per rispondere a questi attacchi i sindacati dei metalmeccanici CGIL, CISL e UIL, degli edili e della Federbraccianti CGIL organizzarono una grande manifestazione di solidarietà al fianco dei lavoratori calabresi.
I fascisti tentarono di impedire l’arrivo dei manifestanti con una serie di attentati, 8 in totale, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre. Nonostante tutto, circa 50 mila lavoratori raggiunsero Reggio Calabria in un clima ostile fatto di sputi, spinte e una forte tensione. I pullman arrivarono da tutto il sud Italia, arrivarono due aerei da Trieste e dalla Sardegna e da Genova e Napoli attraccarono due navi. I treni, i cosiddetti treni per Reggio Calabria arrivarono dal nord, tra ritardi, attentati e bombe sui binari.
I versi della cantastorie Giovanna Marini ci restituiscono l’atmosfera della giornata: “Andavano col treno giù nel Meridione per fare una grande manifestazione […] tutti cantano Bandiera Rossa, dopo venti minuti che siamo in cammino il corteo si ferma e non vuole più partire, si parla di una bomba sulla ferrovia […] Domani chiuso tutto in segno di lutto ha detto Ciccio Franco “a sbarre” e alla mattina c’era la paura e il corteo non riusciva a partire ma gli operai di Reggio sono andati in testa e il corteo si è mosso improvvisamente […] Volavano sassi e provocazioni ma nessuno s’è neppure voltato […] e alla sera Reggio era trasformata, pareva una giornata di mercato, quanti abbracci e quanta commozione, il nord è arrivato nel Meridione […] gli operai hanno dato una dimostrazione”.
Fu una dimostrazione forte e unitaria del movimento dei lavoratori che diedero una risposta determinata ai rigurgiti fascisti, alle provocazioni contro lo Stato, i partiti e la Democrazia. Quel “No al fascismo” fu uno spartiacque decisivo non solo per il sud, ma per l’intero Paese. Una giornata che nel ricordo di qualche anziano lavoratore dell’epoca echeggia ancora nella memoria con tanta emozione e che varrebbe la pena raccontare ancora oggi alle nuove generazioni.
Cosimo Zullo
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