CIS… OGGI, IERI E QUEL 17 MARZO. (di Cosimo Zullo)

In queste settimane si discute in vari incontri con sindaci, amministratori e parlamentari del CIS (Contratto Istituzionale di Sviluppo). Pensando a questa sigla mi sono venuti alla mente gli anni 80 quando quell’acronimo stava a indicare il Consorzio Interregionale Sud, consorzio di vini che si trovava sulla superstrada Mesagne-Brindisi in contrada Torre Mozza. Rimase attivo fino agli inizi degli anni 90 dopo che, nel 1979, era stato costituito come consorzio di secondo grado che riuniva undici tra cooperative e cantine e circa 4.000 soci iscritti. Al Consorzio, tra gli altri, vi aderivano la Cooperativa Risveglio Agricolo di Brindisi, la Vitivinicola mesagnese – che si trovava vicino all’ex Italfood, oggi Lindosan – le cooperative di Erchie, Manduria e Latiano (La latianese) il cui presidente di quest’ultima era Peppo Rubino deceduto proprio in queste settimane.

Del Consiglio di amministrazione facevano parte importanti dirigenti sindacali ed esponenti del mondo delle cooperative. Oltre al Presidente Giovanni Sgura, esponente del PCI con una lunga esperienza politica alle spalle, vi facevano parte Salvatore Morelli, segretario aggiunto dell’allora Federbraccianti-CGIL, Fortunato Paloscia, amministratore per conto della Cantina Risveglio agricolo, Enzo Caforio, già segretario della CGIL, oltre al già accennato Peppo Rubino, cooperatore di lungo corso.

Il CIS, agli inizi degli anni 80, era uno dei pochi consorzi presenti nel Mezzogiorno ed entrò in rapporti con le Cantine Riunite di Reggio Emilia, avviando un progetto di potenziamento della linea di imbottigliamento e di ampliamento dello stabilimento. L’obiettivo era quello di sfruttare, con il marchio Levante , le grandi possibilità del mercato del vino degli Stati Uniti.

Nel 1986 ci fu però una brusca frenata delle vendite a causa dello scandalo del vino al metanolo. La vicenda ebbe inizio il 17 marzo quando cominciarono ad avere luogo avvelenamenti e intossicazioni di centinaia di persone, per la maggior parte residenti nel nord Italia. In 23 di questi casi ci fu addiruttura la morte. Le vittime avevano tutte bevuto vino prodotto dalle cantine di una ditta piemontese i cui i titolari avevano aggiunto dosi molto elevate di metanolo per alzare la gradazione alcolica del vino.

A causa di queste vicende vi fu un vero e proprio crollo del mercato vinicolo e anche il CIS ebbe un colpo alle sue esportazioni. In conseguenza di ciò il CIS decise di avviare un processo di ristrutturazione per affermare il suo marchio sul mercato nazionale, in particolare nel meridione. Tale sforzo però non venne ben supportato dalle politiche nazionali e regionali con la conseguenza di un notevole appesantimento finanziario del Consorzio.

La Regione Puglia e tutte le Istituzioni locali in quegli anni avevano mostrato interesse per la salvaguardia della struttura, al punto che nel febbraio del 1989 ci fu un’intesa tra le Istituzioni regionali e i Sindacati e il CIS, insieme ad altre 14 aziende, venne riconosciuto meritevole di finanziamento. Nelle more del perfezionamento della pratica però il CIS venne escluso da tale beneficio e questo portò il Consorzio lentamente verso la chiusura

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Il 17 luglio 1991, con un Decreto dell’allora Ministro del Lavoro Michele Di Giesi, il Consorzio venne posto in liquidazione coatta amministrativa.

l problemi che si aprirono tra i soci, le cooperative, i lavoratori furono tanti. Molti sacrifici sostenuti nel corso degli anni non bastarono a risollevare le sorti della struttura. Alle mutate condizioni del mercato e alle politiche di ristrutturazione del settore si erano aggiunti sicuramente anche errori e sottovalutazioni del gruppo dirigente del Consorzio.

Erano gli inizi degli anni 90, anni in cui la cooperazione di tutta la provincia andò in sofferenza sia nel settore vinicolo che in quello olivicolo e di trasformazione, in particolare a causa dei cambiamenti intervenuti sul mercato e delle necessità di ristruttazione delle cooperative. Furono anni assai difficili per migliaia di soci e cooperatori, per centinaia di famiglie e lavoratori. Molti di questi si impegnarono anche personalmente verso gli istituti bancari per difendere e tutelare le cooperative costruite con sacrificio e forza di volontà in un momento di sviluppo del settore (anni 60-80) e che invece adesso si trovarono a sprofondare lentamente in un situazioni di estrema difficoltà.
Cosimo Zullo 

16/03/2022

 

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