Giovanni Galeone (Presidente Associazione G. Di Vittorio)
Sino a qualche tempo fa pensarla generava stati d’animo opposti. O quello riveniente dal passato nobile della madre delle vie europee o quello scaturito dalla devastazione di un percorso storico imprescindibile. Si, perché fino all’altro ieri abbiamo fatto di tutto per mandare in rovina l’antichissima Appia, l’abbiamo ricoperta di tangenziali, parcheggi, acciaierie, ne abbiamo fatto scempio asportando antichi lastrici, l’abbiamo sbarrata con cancelli, rovi, rifiuti, ma lei nonostante tutto ha resistito testardamente.
La Via Appia o Regina Viarum, ma anche insignis, nobilis, come scrivevano i latini, sembra adesso ritrovare il suo antico percorso, 360 miglia da Roma a Brindisi con il progetto del Mibact “Appia Regina Viarum – Valorizzazione e messa a sistema del cammino lungo l’antico tracciato romano”, che la trasformerà nel “primo cammino laico al mondo”.
La fase operativa che vede un impegno di 20 milioni di € è stata avviata ai primi di marzo, prima dell’emergenza Coronavirus, coinvolgerà tre grandi gruppi di progettisti e durerà 210 giorni, al termine dei quali si presenteranno i quattro lotti di lavori per altrettante regioni coinvolte: Lazio, Campania, Basilicata Puglia. Saranno 29 tappe interamente percorribili e i progettisti lavoreranno per superare con soluzioni alternative gli impedimenti nei tratti più critici e compromessi. Ora bisognerà vedere se con l’emergenza determinata dalla pandemia virale il progetto subirà stop o rallentamenti.
La spinta decisiva per l’avvio di questo progetto è sicuramente venuta dalla spedizione di una pattuglia di esploratori del profondo Nord, guidata dallo scrittore triestino Paolo Rumiz che nel maggio del 2015, a 2327 anni dall’inizio dei lavori di costruzione, ha rifatto interamente a piedi l’Appia antica dopo 29 giorni di cammino e 612 km percorsi. Un’avventura magnifica e terribile, vissuta attraverso meraviglie e devastazioni, un atto di amore disperato verso il Paese e una chiamata a raccolta della sua componente migliore.
Il viaggio di Paolo Rumiz ha poi avuto un percorso di ritorno con una sosta a Mesagne presso l’Associazione Di Vittorio in cui ha illustrato il senso della spedizione. Da questa esperienza è poi scaturito un libro magnifico dello stesso autore: “Appia” – Feltrinelli Editore, di cui ci permettiamo consigliarne vivamente la lettura.
Il libro di Rumiz è uno zibaldone, una risma di appunti dove la ricerca del passato affonda solidamente i piedi nel presente, lo scrittore ci guida alla riscoperta di un percorso storico, geografico e antropologico. Con competenza e ironia indaga, scopre e rileva le meraviglie e le contraddizioni di un Sud splendido e degenere allo stesso tempo, un incessante stridio fra antico e contemporaneo che confonde, stordisce e spaventa, ma non riesce a scalfire la determinazione ad andare sino in fondo esprimendo l’essenza stessa del viandante: dal tormento all’estasi. In contemporanea alla lettura si può seguire in cartaceo, avanti e indietro per mappe e descrizioni precise e dettagliate, le tappe di questo prezioso manuale di viaggio e di vita.
L’augurio è che una volta completato e reso fruibile il percorso, un esercito di viaggiatori venga a prendere in mano il filo d’Arianna steso sulla mappa dello Stivale così che la Regina Viarum dopo essere stata scandalosamente abbandonata, può riconnettere il Sud al resto del Paese e indicare all’Italia l’importanza strategica del suo ruolo mediterraneo.
La costruzione della Via Appia iniziò nel 312 a.C. per volere di Appio Claudio (da lui prese il nome) e proseguì per oltre un secolo, il percorso fu infatti completato presumibilmente tra il 219 e il 212 a.C. Era una strada militare nata per far marciare rapidamente i legionari verso l’Italia meridionale, ma poi divenne ben presto una via fondamentale per il commercio e i viaggi. Le sue pietre sono ancora lì, a testimoniarne l’ingegnoso impianto: più strati, il più profondo fatto di grossi ciottoli, poi uno di sabbia e di ghiaia e, in superficie, i basoli, pietre basaltiche di grosse dimensioni, ben levigate, poi diventate caratteristiche di tutte le strade romane. Essa misurava 14 piedi romani di larghezza (4,14 m.) ma nei punti di maggior importanza poteva anche essere più larga, permettendo il passaggio di due carri che andavano in direzione opposta.
L’Appia è la più importante via d’Europa e forse dell’umanità, essa è un marchio internazionale, un percorso di meraviglie nascoste molto più vario e di gran lunga più antico del sentiero spagnolo di Santiago di Compostela che ha 400.000 visitatori e si percorre in un solo senso. La via Appia è un cammino laico molto più ricco, racchiude testimonianze storiche antichissime, Giulio Cesare, Spartaco, Annibale, la Magna Grecia, Orazio, gli insediamenti ebrei, Federico II di Svevia, la risalita degli alleati durante l’ultima guerra, è la strada delle legioni e delle merci, la strada attraverso cui è arrivato il Cristianesimo con Pietro e Paolo, è una strada percorribile in entrambi i sensi, andando verso la capitale con la sua storia millenaria e crocevia per infinite destinazioni, o andando verso Brindisi, antica città adriatica dove non c’è il Finis Terrae, ma il fascino di un nuovo imbarco, l’inizio di una traversata verso l’Oriente, Istanbul, Gerusalemme, la Valigia delle Indie, la via della seta.
L’Appia è il baricentro del Mediterraneo con i suoi 2 grandi porti, Taranto e Brindisi, il suo controllo determinava l’egemonia sul Mediterraneo, la via Appia attraversa parti e luoghi tra i più interessanti d’Italia ed oggi questi luoghi possono uscire dallo stato di dimenticanza in cui sono stati per secoli.
È probabile che nel percorso fatto dalla spedizione di Paolo Rumiz, come in quello che verrà fuori dal progetto del Mibact (Ministero dei beni e delle attività culturali) il tracciato non sia pienamente corrispondente a quello originario anche perché in molti tratti l’antico percorso è stato perso. Un conto è però la ricerca archeologica che deve continuare per definire con precisione l’antico percorso e un altro conto è aver restituito finalmente al mondo il senso e la fruibilità di un bene storico.
E veniamo all’importanza della via Appia per Mesagne. Nel luglio del 2019 durante i lavori di scavo di una condotta elettrica per il Parco Archeologico di Muro Tenente sono riaffiorati i resti di una strada di età romana che in molti hanno identificato con l’Appia Antica. Sappiamo che la Regina Viarum giungeva in provincia di Brindisi dalla stazione di sosta denominata Mesochorum su una collinetta coperta da pini di Aleppo in territorio di Grottaglie, quindi dopo avere attraversato la zona di Masseria Vicentino Grande e Vicentino Piccolo giungeva in agro di Francavilla Fontana in contrada Cantagallo e poi Masseria Santa Croce, quindi Oria, poi la Chiesa di Madonna di Gallana, la via Appia superava poi Latiano a sud della città giungendo a Scamnum, importante stazione di sosta che in molti identificano con Muro Tenente, il nostro importante sito messapico, ma non tutti sono d’accordo con questa identificazione. Percorrendo contrada Pizzorusso si giungeva poi a Mesagne, in molti pensano che il tracciato passava poco a nord della città. La spedizione di Rumiz nell’ultima tappa verso Brindisi è ripartita da via Francesco Vita, Via San Lorenzo, proseguendo quindi su via Vecchia Brindisi verso Conserve Italia in contrada Cavallino, poi Masseria Nuova, Masseria San Giorgio e Masseria Masina pur ammettendo che non fosse il tracciato storico più accreditato. Le scarse evidenze archeologiche hanno lasciato ipotizzare due possibili itinerari: il primo in linea retta tra la ferrovia e l’odierna strada statale 7, prima di arrivare nei pressi dell’attuale ospedale “A. Perrino”, l’altra ipotesi presume che l’antico tragitto avesse un andamento più sinuoso e simile al percorso di Rumiz, ovvero correva in linea retta a sud-est rispetto all’attuale statale sino a Masseria Masina (di fronte alla casa Cantoniera), quindi il percorso attraversava l’odierna Statale 7 e coincideva per qualche chilometro con il tratto attualmente occupato dall’asse ferroviario, poi si posizionava nella fascia tra la strada ferrata e la statale nei pressi dell’Ospedale Perrino, quindi a Brindisi in via Cappuccini, quindi superava il fossato nei pressi della porta occidentale delle vecchie mura ed entrava in città per terminare di fronte al porto con le colonne cosiddette terminali (ma con qualche dubbio sulla loro funzione) di cui oggi ne rimane una sola recentemente restaurata il cui capitello originale è esposto a Palazzo Nervegna.
Ci auguriamo che quanto prima il progetto venga portato a temine e che anche la nostra città sappia valorizzare appieno l’opportunità offerta dal progetto ministeriale.
Giovanni Galeone
Bibliografia:
– Paolo Rumiz – Appia – Feltrinelli editore
– Tranquillino Cavallo – Torna alla luce selciato romano: si pensa al “tratto scomparso” della Via Appia – Nuovo Quotidiano di Brindisi, Lecce, Taranto – 24 luglio 2019
– Giovanni Membola – La viabilità e le opere stradali in epoca romana con riferimento a Brindisi e alla sua area – www.academia.edu
www.divittoriomesagne.it
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