Andando indietro con la memoria, mi tornano in mente i primi anni di infanzia; i primi approcci con la scuola e la vita, i compagni di allora (con alcuni tuttora mi incontro e scambiamo qualche parola), com’erano pavimentate le strade, com’era la villa comunale allora; di quanto si è ingrandita la città e così via; ma quello che ho più presente è il periodo estivo, tutto il mese di agosto e parte di settembre quando stavo a pernottare in campagna con i nonni materni. Allora non si villeggiava, come si intende in quest’epoca, ma si pernottava e si lavorava tutti i santi giorni ed anche le domeniche, quasi sempre, sino a mezzodì.
Qualche settimana dopo la festa della Madonna del Carmine, il nonno passava col traino a prendermi da casa oppure lo attendevo alla Porta Grande. Poiché l’asilo era chiuso e negli anni successivi, le scuole, così, per non stare ”in mezzo la strada” mia madre mi mandava col nonno che aveva un podere non molto lontano, ove c’erano moltissimi alberi di fichi, qualche pesco, un noce grandissimo, della vigna con tantissime varietà di uva. Giunti in campagna si mettevano fuori da una piccola grotta le lettiere (fatte di canne legate tra loro) e si preparavano i posti dove in seguito sarebbero stati messi i fichi.
C’erano anche due pagliai, uno molto grande e un altro più piccolo. Ricordo che quello grande aveva anche una specie di porta fatta con tavole inchiodate alla meglio ed in questo, giorni prima del pernottamento, il nonno metteva in un braciere dei gusci di uova, crini e peli raccolti quando strigliava la sua asina ed anche dello zolfo; poi vi metteva dei rametti secchi e vi accendeva il fuoco. Chiudeva quella specie di porta che copriva con dei sacchi di juta inumiditi affinchè potessero trattenere maggiormente quell’odore nauseante e tossico. Mi diceva che serviva a disinfettare l’ambiente, ed inoltre avrebbe allontanato eventuali animali ( topi, serpi, lucertole, ragni ) che avevano nidificato lì dentro. Si può immaginare la mia gioia nel trascorrere quelle giornate, perché il nonno mi lasciava completamente libero, al massimo, qualche volta, fingeva di aver bisogno di aiuto per distrarmi da qualche pericolo e tenermi sottocchio.
I primi di agosto, quando i fichi cominciavano a maturare, i nonni si trasferivano là e portavano anche me, che ero il primo nipote e si dormiva in quel pagliaio che il nonno, a suo dire, aveva sanificato. La mattina, quando mi svegliavo, ero solo, perché i nonni , già prima che sorgesse il sole, avevano iniziato a raccogliere i fichi in dei panieri, che, una volta riempiti, venivano svuotati su delle lettiere.
A volte venivano gli zii ed anche i miei genitori ad aiutare, quando i frutti erano in piena maturazione, perché gli alberi erano tanti e col caldo di agosto maturavano in fretta e non si poteva aspettare.
Avrò avuto circa 5 anni quando la nonna riempiva un paniere piccolo e mi diceva di andare a svuotarlo sulle lettiere ed al ritorno di portare la brocca piccola con l’acqua per bere. Col passare degli anni, il paniere divenne poi sempre più grande.
Il nonno, diventato sempre più vecchio e debole, non raccoglieva più i fichi, ma stava a “spaccarli” cioè li tagliava in due e li sistemava sulla lettiera, mettendo il lato della corteccia rivolto al sole, perché seccassero meglio. Tante volte anch’io, dall’altro lato della lettiera , cercavo di fare la stessa cosa.
Ricordo che la nonna, mentre “spaccavamo” i fichi, per passare il tempo, a modo suo, mi declamava alcuni passi della Bibbia o dei Vangeli, il nonno, invece mi raccontava i CUNTI ed anche della sua “richiamata alle armi” (essendo nato nel 1878, aveva già svolto il“ servizio di leva” anni prima ), durante la prima guerra mondiale; del freddo e della fame che aveva patito stando in trincea; della grappa che beveva prima degli attacchi con la baionetta contro gli austriaci e tante volte si commuoveva ricordando i suoi compagni caduti, durante quegli assalti ed ancor di più di quegli italiani giustiziati dai loro stessi Ufficiali, a volte soltanto perché, essendo analfabeti, non avevano capito gli ordini ricevuti; di come vivevano gli alti Ufficiali al riparo nei rifugi ben riscaldati, mentre loro congelavano e tanti altri fatti allora avvenuti , e ringraziava Iddio di essersi salvato.
A volte mi parlava di alcuni parenti lontani e di altri aneddoti di vita vissuta; ma la vicenda che mi restò più impressa, perché me la ripeteva quasi ogni estate, fu di un caso avvenuto nelle campagne di Mesagne, tanti anni prima. Cominciò col dirmi che ci fu un tempo che in alcuni poderi risultavano sparizioni di prodotti.
Si diceva che ci fosse uno “ SPIRITO “ (un fantasma ) che, tutto bianco, durante la notte, in special modo nella stagione estiva, spaventava la gente. Che si sentissero dei rumori strani, come di catene percosse ed, a volte, di grida disumane.
Una sera però, un robusto contadino, sui quaranta anni, restò molte ore a chiacchierare con gli amici, nella piazza dove di solito si riunivano, e poi facendo intendere ad alta voce che aveva intenzione di andarsene a casa da sua moglie e dai suoi figli, salutò e si allontanò.
Ma quando fu abbastanza sicuro che nessuno potesse vederlo, facendo qualche giro, si diresse nella sua campagna e là giunto, si nascose. Non trascorse molto tempo che cominciò a sentire rumore di catene e poi, da non molto lontano vide una “ figura bianca “ che gesticolando ed emettendo urla quasi animaleschi, si diresse verso le lettiere di fichi quasi completamente seccati.
Là giunto, sempre facendo rumore, si girò e rigirò parecchie volte e poi, assicuratosi di essere solo, tolse il lenzuolo che lo copriva dalla testa ai piedi, e cominciò a riempire di fichi un sacco che portava con sé. Una volta svuotate parecchie lettiere e mentre stava per mettersi il sacco in spalla, arrivò il padrone con un nodoso bastone e, dicendo “Cumpà, che vuoi una mano per caricartelo” cominciò a bastonarlo di santa ragione. Tra l’altro riconobbe lo SPIRITO, che altri non era che un poco di buono del paese. Questi, poi, tutto dolorante, vergognoso e piangente, lo supplicò di non denunciarlo alle Autorità e, se possibile, non dirlo ad alcuno, promettendo che non si sarebbe mai più azzardato a fare cose del genere. Così finì la leggenda dello SPIRITO (fantasma) che per parecchio tempo aveva fatto parlare di sé i creduloni del luogo.
All’inizio dei miei ricordi, si era ancora in guerra; c’erano dei bombardamenti aerei su Brindisi ed inoltre alcuni nostri parenti erano prigionieri dei tedeschi.
Tornando alla raccolta dei fichi, questa avveniva nelle prime ore della giornata, con la temperatura abbastanza fresca; poi, le lettiere, sulle quali erano stati svuotati i panieri, si portavano sotto qualche albero vicino e sino al tramonto si stava a spaccarli ed a sistemarli nel modo giusto. Una volta completata la lettiera, la si metteva sopra dei cavalletti di legno e ben rivolte verso il sole.
La vendita dei fichi secchi recava un contributo economico non indifferente, in quei tempi lontani. Una volta seccati, venivano selezionati ed i migliori venduti come “Prima Scelta” ad un buon prezzo, poi veniva la “ Seconda Scelta” ed infine “Lo scarto “ cioè quelli che erano caduti a terra e che si erano molto “ sciupati”, ed anche questi davano un certo reddito. Ricordo altresì che il nonno ne tratteneva un po’ per darli come cibo all’asina.
Questo è durato sino all’anno successivo il termine delle scuole elementari, cioè nel 1951, poi altre destinazioni ha preso la mia vita.
Giovanni CAZZATO
(Foto archivio famiglia Romanelli – Latiano anni ‘50)
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