Totò e Trilussa, una accoppiata straordinaria per raccontare con la satira e l’ironia,
l’istrionismo e la fustigazione dei costumi i vizi umani e in particolare quelli italici.
Non è affatto un caso che tutti e due provengano dagli universi culturali ed
antropologici delle due capitali d’Italia per antonomasia: Napoli, microcosmo di
straordinari movimenti filosofici, teatrali e musicali e capitale del Regno delle due
Sicilie e Roma capitale dell’Italia post unitaria, della cultura latina, delle glorie
dell’impero romano e della Chiesa.
Totò, che è parte-nopeo e parte… napoletano, è il portatore più autentico
delle varie aspirazioni e dei tanti sogni plebei, oltre che del micragnoso mondo
piccolo borghese del sud. Come pure dei cascami grotteschi di certa nobiltà
decaduta meridionale, sulla quale si è prodotto in parodistiche e insuperabili
interpretazioni che hanno lasciato il segno.
La poesia del Principe De Curtis parte dalla napoletanita’, ma celebra l’amore e
la pietà per i poveri Cristo. Celebra ricorrendo ad una epicità minore, una sorta di
grandezza proletaria. E lo fa, come anche nei suoi films, insistendo con le modalità
macchiettistiche e ridanciane, sovente giocate col doppio senso, così care ai suoi
sempre amati esordi nella rivista. E tutto ciò finisce per essere universale.
Perché allude a tutti i diseredati del mondo, tutta la povera gente che a Bombay o
Mogadiscio, come a Rio de Janeiro, sono comunque soccorsi e integrati dalla
comunanza nei vicoli, nelle casbah e nelle favelas. Trovando spesso, grazie a
questi legami di comunità in qualche senso, una minima filosofia di vita, cui legarsi
per vivere e sopravvivere.
Ed anche il viaggio poetico di Trilussa, pur dentro la Città Santa e i mondi della
tentacolare burocrazia e dei poteri temporali e religioso, finisce per rivelarsi come
un ininterrotto e sviscerato amore per la sempiterna Urbe. Roma è allora per
Carlo Alberto Sallustri, al secolo Trilussa, il prototipo di un mondo indolente talora,
come pure fatalista, talvolta qualunquista e smagato. Al quale egli offre una penna
graffiante, irridente e sorniona. Una grande città che pare abbia metabolizzato ogni
tipo di rivolgimento intrapreso o subito. Una Roma, per come la racconta Trilussa, cui
anche la sua poesia offre la forza d’una espressività popolare e teatrale che è pari,
non a caso, solo a quella napoletana. E che si palesa con il ricorso alla garbata ma
sovente strafottente irridenza, che denuda l’animo dei romani, fino a scoprirne la forza
della sopportazione ad ogni tragedia. Infatti ancora si ricorda nella Caput Mundi
quell’amarissima frase che qualcuno scrisse in grande su un acquedotto romano,
alla fine dell’ultima guerra, “Annatevene tutti lassatece soli a chiagnere”.
Trilussa è il cantore di questa Roma, é il giusto erede del Belli e del Pascarella,
anche quando usa la favola o l’apologo, i libelli moralistici e il racconto poetico,
che si fa triste svelamento delle cattiverie e delle ipocrisie umane. Quindi due
grandi poeti della risata e dello sberleffo liberatorio, che tende ad intaccare le
tante doppiezze ed ipocrisie umane.
Toto’ e Trilussa sono accomunati anche dal piacere che entrambi elargiscono
nell’alleggerire il cuore e anche la mente di chi li legge, vede o ascolta. Tutti e due
hanno sempre offerto le più ghiotte occasioni di far riflettere ridendo, grazie anche
alle liberatorie risate che loro opere regalano a piene manu. Perché ridere è anche
pensare con più allegria e leggerezza, è narrare senza darsi troppe arie e sopratutto
offrire una versione della realtà che anche quando appare capovolta è pur sempre
figlia della vita e della storia cui allude.
Ecco perché Totò è Trilussa sono ancora tanto attuali: poiché insegnano oggi,
ad esempio, che sarebbe bello, come abbiamo amato dire nel ’68 e dintorni, che
ogni tanto ci concedessimo un urlo corale, da riservare agli urlatori, ai demagoghi
e piazzisti della politica e ai razzisti all’amatriciana di casa nostra, il liberatorio grido
“una risata vi seppellirà'”, prima o poi.
Statene certo “poffarbacco”, come direbbe Totò. Già sapendo, per dirla infine con
Trilussa, che ogni tipo di “guerra è un raggiro de quattrino, che prepara le risorse per
li ladri de le borse”.
Lo abbiamo capito tutti. Già, “‘cca nisciunu é flesso”.
Mimmo Tardio.
www.divittoriomesagne.it
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