Un altro racconto di Giovanni Cazzato
Il giorno prima eravamo partiti da Singapore ove, stando all’ancora , avevamo imbarcato delle provviste/viveri per la cucina, nonché combustibile ed acqua dolce sufficienti per arrivare al Canale di SUEZ. La nostra destinazione era il Nord Europa.Eravamo di ritorno da un porto a Sud della Repubblica Popolare Cinese dove avevamo portato e scaricato circa 10 mila tonnellate di concime per l’agricoltura.
Era una giornata calda ed afosa, senza un alito di vento, come quasi sempre avviene in quelle zone del pianeta, così vicine all’Equatore.
La mattina, appena montato di guardia in plancia, avevo notato il nostromo che, assieme a tre marinai ed al Giovanotto di coperta, preparava paranchi, tavoloni e funi varie, cinture di sicurezza, pittura, pennelli e quant’altro , e pensai che volessero pitturare la parte frontale del ponte principale.
Verso le 08 10 il Comandante venne sul Ponte di Comando, mentre ero intento a fare qualche calcolo di navigazione .
Stavamo attraversando lo Stretto della Malacca ed occorreva fare spesso il punto nave perché, essendoci bassi fondali, si poteva rischiare di finire su qualche “secca” o, ancora peggio, su qualche scoglio o altra nave affondata.
Dopo aver osservato l’orizzonte, dato un’occhiata in giro e sulla carta nautica, ciondolando la testa, andò via.
Erano trascorsi appena una quarantina di minuti quando ritornò e mi apparve un po’ agitato e questo era per me veramente insolito (lo conoscevo da circa otto mesi e l’avevo visto sempre calmo, anche nei momenti più critici).Mi trovavo al timone, perché il marinaio di guardia si era allontanato qualche minuto per andare a prendere dell’occorrente per la pulizia del ponte, nonché il caffè e lo zucchero per le guardie. Mostrandomi la bottiglietta di Tintura di Jodio, mi chiese a bruciapelo :
Signor Gaspare, secondo lei, quanto ne manca da questa bottiglietta? -Non saprei proprio che dire, Comandante. L’ho usata solo qualche giorno fa, quando ho medicato il marinaio Gambetta, ma non ho fatto caso alla quantità; comunque credo che ne manchi un poco -risposi.
Subito ridiscese, lasciandomi molto perplesso e frastornato. Pochi minuti dopo, venne a trovarmi il signor Pisano, il radiotelegrafista che aveva la Stazione Radio a poppavia del ponte comando, con un sorriso sornione stampato in faccia, e mi disse :
-Credo che abbia finto di avvelenarsi, solo per fare scena, come al solito. Ma con chi ce l’hai?
–domandai un po’ meravigliato; ma già cominciavo ad immaginare a chi era diretta la sua invettiva. Oltre me ed il Com.te, solo un altro aveva la chiave della farmacia, cioè il l° Ufficiale di Coperta, il Signor De Gennaro.
-Ma col l° Ufficiale, è ovvio –mi rispose. –Ha avuto una discussione piuttosto vivace col comandante e poco fa l’hanno trovato nella sua cabina, con delle tracce di tintura di Jodio vicino le labbra e buona parte della camicia inzuppata di tintura, gli occhi stralunati e scosso da brividi.
-Com’è possibile tutto ciò –dissi –Ci siamo date le consegne alle otto e sembrava calmo e tranquillo.
-Ti ripeto che l’ho sentito gridare ed ora senz’altro il Comandante sta preparando il telegramma da inviare al C.I.R.M. -continuò. Infatti, avevamo appena finito di fumarci una sigaretta, quando sentimmo la voce del comandante :
-Signor Pisano, invii quanto prima il telegramma che ho messo sul suo tavolo
-Subito comandante –disse Pisano, che già sentendosi chiamare, si era diretto verso la stazione Radio.
Si era nel 1962 e la potenza di trasmissione delle radio di allora non era un granché, e quella della nostra nave, era veramente scarsa. Bisognava passare i telegrammi alla stazione più vicina e questa poi avrebbe fatto da ponte, cioè avrebbe tramesso ad un’altra fino ad arrivare a destinazione; nel nostro caso, prima a New Delhi, questa a Teheran poi ad Atene oppure al Cairo ed infine a Roma. Come si può immaginare, questo comportava un’attesa non indifferente perché giungesse a destinazione ed avere poi la risposta.
Nel frattempo, il l° ufficiale De Gennaro veniva sorvegliato nella sua cabina, perché ogni tanto si contorceva tutto, si stringeva le mani allo stomaco, era tutto rosso e sembrava che gli occhi fiammeggiassero. Non avendo alcuna idea della situazione, il Comandante si guardava bene di dargli bevande o medicinali di qualsiasi natura.
Finalmente, verso mezzodì, arrivò dal C.I.R.M. (Centro Radio Medico Internazionale con sede a Roma) la risposta, che solo il Comandante (s’intende anche il Radiotelegrafista).
Dopo qualche minuto, il Comandante, giunto in plancia, mi ordinò : -Signor Gaspare, vada in farmacia a prendere la boccetta della Valeriana e, passando dalla cucina, dica al cuoco di riscaldare e portare un bricco di latte caldo, che appena pronto,
somministrerai personalmente al Signor De Gennaro.
-Vado subito –risposi e mi avviai, mentre il Com.te mi sostituiva sul Ponte.
Pochi minuti dopo, portai la bottiglietta di Valeriana, una caraffa d’acqua ed un bicchiere nella cabina del l° Ufficiale. Questi era quasi tutto piegato su se stesso. Sembrava in preda a forti spasimi e con una specie di bava alla bocca.
Arrivò anche il garzone di cucina con un bricco di latte ed una tazza. Mi avvicinai al paziente, versai il latte nella tazza e lo aiutai a bere. All’inizio sembrava facesse un po’ il ritroso, ma poi bevve tutto il latte. Stetti qualche minuto, poi andai a riferire al comandante ed avere ordini precisi anche riguardo la valeriana.
-Ha bevuto tutto il latte? – Mi domandò -Sì, Comandante, ha bevuto tutto quello che c’era nel bricco, tant’è vero che ho riempito due volte la tazza.
Bene, bene, allora ritorna, metti una ventina di gocce di Valeriana in un bicchiere d’acqua e faglielo bere. Dopo ci vedremo a pranzo.
-Lo disse quasi con un sorrisetto negli occhi e, per la seconda volta, quel giorno, questo suo modo di fare mi lasciò piuttosto interdetto.
Per tutto il resto del giorno ed anche la notte ci fu sempre qualche persona che si affacciava e controllava il De Gennaro; qualcuno però cominciò a notare che, se non si faceva rumore, nell’avvicinarsi, il “paziente” appariva calmo e rilassato.
Il De Gennaro, quando si passava qualche ora di franchigia nei porti, ma a volte anche a bordo, durante la navigazione, era solito fare delle sceneggiate e delle battute da vero napoletano quale egli era e si sentiva.
Quella sera, verso le 21, mentre ero di guardia, si presentò Pisano sul ponte. Ci conoscevamo da circa otto mesi, era già a bordo, quand’ero imbarcato. Fumando e chiacchierando mi comunicò, facendomi promettere di non farne cenno ad alcuno, almeno per il momento: -Che ti avevo detto, stamattina, che era tutta una scena? Il C.I.R.M. ha riferito che se il paziente avesse bevuto il latte, senza avere reazioni, significava che quasi nessuna goccia di Tintura di Jodio era stata ingerita. Dunque il caro De Gennaro ha solo fatto finta di avvelenarsi…Come volevasi dimostrare – continuò sorridendo. Il De Gennaro continuò ancora per due – tre giorni a fingere di non stare bene, non presentandosi al turno di guardia e nemmeno andare a pranzo o a cena alla tavola Comando. Si isolò completamente. Dopo parecchi giorni cominciò ad andare in cucina a chiacchierare col cuoco, che era suo compaesano. Da indiscrezioni, si venne a sapere che adduceva un sacco di scuse e che giurava di essersi salvato solo per miracolo, asserendo che ciò significava non essere giunta l’ultima sua ora.
All’indomani di questo “accidente” il Comandante mi disse che avrei dovuto fare il turno di guardia del l° Ufficiale, cioè dalle quattro alle otto e dalle sedici alle diciannove, (dalle 19 alle 20 sarei stato rilevato dal 2ndo Ufficiale Signor Luciani), mentre egli avrebbe fatto l’attuale mio turno, cioè dalle 8 alle 12 e dalle 20 alle24.
Il Nostromo Cozzolina iniziò a prendere gli ordini per il lavoro di manutenzione ordinaria direttamente dal Comandante. E si continuò così sino all’arrivo della nave ad Anversa, in Belgio, ove sbarcò il De Gennaro.
Torniamo indietro per capire come si arrivò a questo.
Il giorno stesso della partenza da Singapore, il Comandante chiamò il l° ufficiale e lo mise a conoscenza di aver ricevuto ordini dalla Società Armatrice, che non si dovevano fare a bordo lavori di manutenzione straordinaria né consumare pittura in latte sigillate, cioè nuove, e fare a meno, nel limite del possibile, di usare materiale di riserva , nuovo o in ottimo stato, perché tutto questo sarebbe stato trasbordato su un’altra nave della Compagnia al prossimo porto in Europa.
Il motivo della discussione, avvenuto quella mattina del finto avvelenamento, fu dovuto al fatto che il l° Ufficiale non aveva per niente tenuto conto di quanto gli era stato riferito il giorno prima dal Comandante; né aveva raccomandato il nostromo di usare solo latte di pittura iniziate o vecchie e malandate.
Quando il Comandante, chiamatolo, glielo fece notare, sempre con calma com’era sua abitudine,
il De Gennaro, preso dalla rabbia, forse per non rimangiarsi gli ordini dati al nostromo, si mise ad urlare in modo incontrollato. Questa era stata la “discussione vivace “udita dal radiotelegrafista che aveva la cabina sullo stesso piano. Dopo qualche minuto ci fu la “scena“ dell’avvelenamento, che tanto allarme ed apprensione creò a tutto l’equipaggio di bordo.
18.2.2021
(Uno stralcio di vita vissuta di Giovanni Cazzato)
G i o v a n n i C A Z Z A T O
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